transire e rimanere.humanitas
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una proposta di / a proposal by: anton roca
con barbara baroncini, irene fenara, simona paladino, davide trabucco
In collaborazione con/ in collaboration with:
Associazione artéco

hyblog concept & software: Francesco Michi
hyblog design: anton roca

 

comunicazione spedita da/communication sent by:
barbara baroncini
il 24.1.2015





 
 





Riflessioni_perdersi per non perdere

Nelle letture che ho fatto ho letto di una Bologna al centro dell'attenzione negli anni '70 '80 perché è stata città mercato, città di fiere, città di divertimento, città di immigrazione. Per molti da nord a sud dell'Italia e probabilmente da anche più lontano è stata una città salvezza, l'isola felice dove vivere per un periodo temporaneo o dove stabilirsi definitivamente. Nel suo testo Anton ha ricordato gli anni in cui è arrivato a Bologna ed è stato accolto con positività perché tra le persone vi era un sentimento diffuso di accoglienza e un'apertura verso lo “straniero”.
Il benessere diffuso è stato un fattore che ha determinato l'identità della città, dipingendola come città accogliente e moderna. Questa immagine era probabilmente sostenuta dalle classi di potere che avevano interesse a fare di Bologna un polo di attrazione ed una “città confetto”.
La classe politica però non ha seguito il passo dei cambiamenti e integrato ciò che via via si stava indebolendo. Si è abbassato il tasso di attenzione verso la gestione della cultura nel territorio causando una ripercussione sulla conoscenza locale e sulle possibilità della città.
Quello che prima era considerato un tesoro e il punto forte della città ora ha perso il vigore e si sta perdendo e rimane vivo solo come un feticcio, un falso mito di buongoverno, sulla scia dei residui degli anni ottanta. Gli esempi di impegno culturale e di cambiamento rimangono casi isolati e marginali, che non hanno sostegno e supporto dalle autorità competenti e che quindi non riescono ad imporsi e diffondersi capillarmente all'interno della coscienza culturale della città.
Questi cambiamenti hanno influenzato anche i luoghi stessi che hanno mutato aspetto e funzione. Ad esempio i due principali centri dell'aggregazione bolognese, Piazza Maggiore e Piazza Verdi, non sono più epicentro di incontro. Negli anni ottanta Piazza Maggiore era frequentata assiduamente sia di giorno che di notte da centinaia di persone e tutti ne ricordano la vivacità e il fermento anche culturale. Stesso punto di vista è quello di Piazza Verdi che in passato era un luogo di impegno e di conoscenza, categorie che trascendevano il confine tra produttività e relax. Ora Piazza Verdi è vista come un parcheggio, luogo di disagio e emblema del degrado e della sporcizia della città. Qui di riuniscono studenti, fuorisede, punkabbestia, barboni, extracomunitari o bolognesi, giovani o adulti che siano, tutti abituati a bivaccare, bere e mangiare, e sostare sotto i portici o seduti in piazza.
I cittadini soffrono di fronte a questa immagine di “parcheggio” ed attribuiscono le colpe a queste minoranze, accusandoli di degrado ed impoverimento della città. Essi sono turbati dalle violazioni delle norme riguardanti l'uso degli spazi pubblici e di quelli dedicati alla collettività. Sicuramente, come in tutte le città, Bologna lamenta episodi di microcriminalità a cui le autorità non sempre rispondono con le giuste misure ma piuttosto tamponando con cercando restrizioni e blandi provvedimenti. Questo atteggiamento fomenta lo scontento e porta i cittadini a coltivare un sentimento generale di sfiducia e pessimismo che abbassa la credibilità delle autorità.
Il sommarsi di queste mancanze e disattenzioni provoca episodi di malessere ed insicurezza, in cui la paura del diverso e del danno a proprio discapito fa si che si verifichino episodi di intolleranza e isolamento.
La reazione spontanea dei cittadini è quella della chiusura, del ripiegarsi su se stessi e alzare barriere, in certi casi fisiche, ma soprattutto mentali, come strumento di difesa. L'annullamento del diverso è la precauzione per ridurre i rischi e diminuire le possibilità di attacco. Si ha la tendenza ha spostare il proprio punto di vista dall'estero, dall'altro a se stessi per trovare consolazione nelle proprie abitudini e convinzioni, cercando di allontanare i cambiamenti e ogni questione che possa mettere in discussione la routine e la quotidianità. Il degrado è quindi visto come la causa del decadimento, del deterioramento e della degenerazione di quello che ci circonda. In realtà il degrado è solo una manifestazione di un discorso più ampio e complesso.

Storicamente Bologna è stata una città che promuoveva una cultura dell'accoglienza dotta e di alto livello. Anche Anton, riportando la sua esperienza, ha raccontato che le persone ma anche la città era ben disposta ad accogliere. Esistevano quindi anche le strutture capaci di ospitare e d accogliere.
Credo che in questo momento la cultura dell'accoglienza di cui parlava Anton si è andata via via a perdersi ed indebolirsi perché la città non ha più la capacità di attrarre e ospitare le persone con l'energia di un tempo. Nonostante il tentativo di rifare il look alla città, Bologna non offre validi motivi, se non ragioni temporanee e sporadiche, per fermarvisi. Rimane tutto sull'effimero e sul turistico perché non si ha la capacità di costruire nuove realtà e nuove comunità da cui partire con progetti ed attività interessanti.

Fonti
Perdersi, Franco La Cecla
Contesti urbani e sottoculture giovanili. Il caso bolognese, Giuseppe Scandura
Le trasformazioni dentro le mura: complessità urbane, Matilde Callari Galli


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