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con barbara baroncini, irene fenara, simona paladino, davide trabucco
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hyblog design: anton roca

 

comunicazione spedita da/communication sent by:
simona paladino
il 24.1.2015



comunicazioni figli/sons
L’inizio e la fine di Bologna



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Osservazioni quotidiane. Mutamenti nel paesaggio e variabili di percorso

Il punto di approdo a Bologna per me è la stazione sotterranea di Via Zanolini. Fino a qualche mese fa si chiamava Stazione San Vitale, stranamente, ho sempre pensato, visto che è più vicina a Porta San Donato. Da poco ha cambiato nome, assumendo la denominazione più ‘corretta’ di Stazione Zanolini. Sul cartello identificativo, in controluce si vede il segno delle lettere del vecchio nome, sovrapposto da lettere adesive bianche che indicano il nuovo nome. Lo spazio è sempre quello, con sottili modifiche superficiali che si stratificano nel tempo.

Appena scesa dal treno e salita in superficie, alle mie spalle, dietro alcune grate metalliche, spesso vedo uomini al lavoro che spianano l’area: non so se è uno spazio pubblico o privato...forse un cortile dei nuovi palazzi costruiti in quest’area, che, sento dai discorsi delle persone che aspettano il treno insieme a me, pare godano di ottima funzionalità, eccetto il fatto che risentono delle vibrazioni sottostanti date dal passaggio continuo dei treni. A quanto pare, ottimi edifici, costruiti nel posto sbagliato. Sui balconi, leggo ancora i cartelli ‘Affittasi’...e su una facciata vedo una scritta polemica con lo spray ‘case tristi per esistenze tristi’.
Accanto ai palazzi un edificio in rovina, chiuso da pannelli di legno dipinti di blu, che non so se proteggono più i passanti dal pericolo di crollo o l’edificio stesso dagli interventi dei writers. Resta una costruzione misteriosa, immobilizzata in un tempo passato indefinito, circondata dalle gru in movimento e dal modernismo dei colori sgargianti dei palazzi retrostanti, che sembrano quasi agganciarsi sulle sue spalle come costruzioni Lego.

Da qualche tempo, mi capita di arrivare e trovare rettangoli di suolo chiusi al passaggio: il percorso quotidiano subisce leggere variazioni per non calpestare la pavimentazione appena posata. Presto la massima attenzione a dove appoggio i piedi, in attesa di una superficie calpestabile liscia e lineare, senza più zone di depressione in cui inciampare.

Se mi volto a sinistra, fino a poco tempo fa, vedevo una buona parte di spazio chiuso dalle reti arancioni che segnalano un cantiere, dietro alle reti dei pannelli in truciolato che bloccano la visuale. Ora le reti non ci sono più: l’intera l’area è piastrellata e resa omogenea al resto della pavimentazione. Eliminate le reti e i pannelli, si riapre il campo visivo. D’altro canto, di fronte a me, vedo la maggior parte degli accessi alla sala d’attesa della stazione murati da mattoni. Un unico ingresso mi consente l’accesso: qui, trovo i pannelli con gli orari dei treni appesi ai muri e le macchinette di cibi e bevande col loro ronzio elettrico, che alla sera restano le uniche fonti di luce, poiché da qualche tempo i neon che illuminavano la stanza non vengono più accesi. Politica di risparmio energetico? Non funzionano più? Non so, non importa. Tempo fa c’erano anche delle sedie arancioni per agevolare l’attesa degli utenti. Un giorno, passando, ho visto che qualcuno ne aveva rotta una e, per completare l’opera aveva svuotato e cosparso sul pavimento il contenuto dei cestini della spazzatura. Dopo qualche altro giorno le sedie erano sparite tutte, credo, per prevenire altri danni.
Lo spazio ora è vuoto, disadorno, inutilizzabile.
Sulla sinistra, da un corridoio (spesso chiuso da una cancellata) si accede ad un piccolo bar. Qui vendevano anche i biglietti del treno, poi un giorno hanno smesso. Ora si possono acquistare solo alle macchinette, ma spesso non funzionano o sono spente. Tempo fa sono entrata nel bar e ho chiesto una bottiglia d’acqua, la signora al bancone mi ha detto, con la massima naturalezza, che quello non era un bar, ma un’associazione culturale e che poteva dare l’acqua solo ai membri iscritti. Mi sono sentita completamente fuori luogo, come piovuta da Marte: lei, la ‘barista’ si è rivolta a me come se le cose fossero sempre state così. Ora non sono neanche così sicura di aver mai comprato dei biglietti del treno in quel posto. Uscendo, mi sono accorta che era stato aggiunto un foglietto con una scritta a pennarello che diceva “A.LI.PE Associazione LIberi Pensatori”, anche se il cartello ‘ufficiale’ al soffitto della sala d’attesa indicava ancora l’esistenza del bar. Tutto molto misterioso e un po’ surreale. Mi domando chi sono i ‘liberi pesatori’, come si identificano tra loro e cosa fanno quando sono riuniti nel loro circolo.

Da qualche settimana, l’unico ingresso alla sala d’attesa non murato è stato chiuso. Nessun cartello segnala questo dato, né il perché della chiusura, né fino a quando. Semplicemente, un giorno la porta non si è aperta. Non capisco, non so, non mi pongo domande: faccio il giro dell’edificio e continuo il mio percorso. La porta d’uscita, quella che si affaccia su via Zanolini è invece ancora aperta. Così, al mio ritorno, sovrappensiero, condotta dalla forza dell’abitudine mi dirigo nella sala: entro, attraverso lo spazio buio e vuoto, ma non posso uscire perché la porta, come l’avevo trovata la mattina nel percorso dell’andata, è chiusa. Disagio: torno indietro, esco e faccio il giro, pensando che in futuro dovrò ricordarmelo, per evitare di perdere il treno!


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